
Adelphi
The clothes they stood up in
Dopo una magnifica serata passata al Covent Garden, i coniugi Ransome rientrano nella loro abitazione londinese, nei pressi di Regent’s Park, trovandola completamente vuota! Vuota nel senso letterale del termine. Dal mobilio alla moquette, dal frigorifero allo sformato lasciato nel forno, dalla carta igienica agli indumenti intimi: tutto, ma proprio tutto, è stato rubato. “Rapinata” dice la moglie, “svaligiata” rettifica il marito avvocato, che di termini se ne intende. Con un sano sconcerto, i due protagonisti tenteranno di riprendere la quotidianità, seppur con qualche disagio. Ma quali effetti, e quali ripercussioni, ha innescato il furto?
Recensione
Cosa faremmo se tornando a casa la trovassimo svaligiata dai ladri? Come continueremmo a vivere senza televisore, stereo, vestiti, ma, soprattutto, senza piatti, libri, divano, tavolo, forno e frigorifero? Questo è quanto accade ai Ransome, coppia appartenente alla borghesia inglese, che si trascina nella piatta solidità dell’abitudine. Gli oggetti dei quali si circondano, dai quadri alle stoviglie pregiate, creano una nicchia di certezza e di consuetudine, che da un lato offre stabilità, ma dall’altro opprime. A seguito di questo evento funesto, i due coniugi cominceranno a intraprendere un percorso individuale che, a poco a poco, si diversificherà mostrandoli sotto una nuova luce. Se Mr. Ransome prosegue nel quotidiano quasi come se nulla fosse successo, Mrs. Ransome, dopo aver superato la momentanea destabilizzazione, inizia a distaccarsi dalla vita pre-furto e a intraprendere un iter trasversale che, lentamente, modifica non solo le sue giornate ma anche le vecchie abitudini. Ed è esattamente in questo punto che subentra la sagacia di Bennett, sempre in grado di regalare ai propri lettori visioni brillanti, ironiche e pungentemente sarcastiche.
Ma la domanda che si innesca, per chiunque legga questo racconto, è: siamo noi a esercitare il dominio sugli oggetti che compriamo? O, piuttosto, sono tutti questi prodotti a identificarci, definirci e controllarci? Davvero abbiamo bisogno di una cosa che ci rappresenti e che parli in nostra vece? Nella società attuale, spinta oltremodo verso la necessità del superfluo, ognuno di noi si troverebbe in forte turbamento senza tutti quei beni che hanno mutato la loro connotazione diventando nostri prolungamenti e, quindi, indispensabili.
Come sempre, nulla da eccepire sullo stile - magnifico - di Bennett, la cui penna scorre fluente tra la concisione e l’arguzia.
I personaggi principali, i due coniugi, seppur stringatamente descritti, sono perfetti, connotati con precisione e delineati senza il minimo fronzolo.
I personaggi secondari sono esposti in modo magistrale e sfiorano la vita dei protagonisti influenzandola, seppur in piccola parte, con accenni e insinuazioni che si trasformano in dubbio.
L’ambientazione non è tanto rappresentata dall’atmosfera esterna, quanto dalla classe sociale, borghese e abbiente, che si vuole indagare e punzecchiare attraverso una lente d’ingrandimento.
La copertina? Il rosa acceso, shocking, è un colore che mi piace particolarmente!